La Fondazione del Monte ha finanziato un’indagine sulle condizioni abitative della terza età a Bologna e provincia i cui risultati sono stati presentati mercoledì scorso.
Un dato emerso da quello studio che ho trovato eclatante è che il 74% degli intervistati (over 60) vivono in una casa di proprietà. Peraltro questo è in linea con le percentuali a livello nazionale.
Un altro più preoccupante è che pochi degli anziani intervistati sono pronti ai cambiamenti della condizione abitativa che la fragilità potrebbe imporre.
Sentendo la presentazione di questo ottimo studio, ho iniziato a seguire una linea di pensiero e con l'aiuto di un po’ di tecnologia AI ho raccolto qualche dato. I numeri che riporto li ho recuperati con ChatGPT ma senza fare quella verifica delle fonti che è sempre necessario fare in un contesto scientifico; quindi vanno presi con beneficio di inventario.
Tre quarti di quelli che oggi hanno > 60 anni possiedono la prima casa. Il dato nazionale è simile.
40 anni fa, nel 1985, questi avevano tra i 20 e i 50 anni. Stando nel mezzo, circa il 50% degli italiani sotto i 40 anni era già proprietario di una prima casa.
Oggi solo il 25% degli under 40 vive in un alloggio di proprietà. Un fattore di questa diminuzione è il calo del reddito medio procapite: Il reddito procapite medio dal 1985 al 2025 è calato di circa un 10% (normalizzando per euro 2025). Ma soprattutto, io credo, il calo è legato alla forte precarietà occupazionale, che rende difficili gli investimenti di lungo termine come la prima casa.
In un paese "normale" il 50% dei nostri figli avrebbe già una casa sua, il che consentirebbe a tanti anziani di "usare" la propria casa per assicurarsi una vecchiaia migliore. Oggi la soluzione più usata è quella della nuda proprietà, in cui con i soldi che predi ora ti paghi la badante. In altri paesi ci sono sperimentazioni più interessanti in cui cedi la tua casa ad un fondo pubblico-privato, che in cambio ti assicura una condizione abitativa adeguata alle tue condizioni di salute per tutta la vita residua, iniziando con il senior cohousing, fino alle varie forme di residenza sanitaria assistenziale, fino all'hospice.
Invece in un paese dove solo il 25% dei nostri figli possiede un tetto sopra la testa, è chiaro che la nostra casa diventa un bene da proteggere a tutti i costi, per assicurare che almeno a 50-60 anni, quando decediamo, una casa ce l'avranno.
Tutto questo per dire che le società sono un organismo e pensare di poter risolvere solo i problemi di un pezzo di tale organismo è sbagliato. Se hai nostri figli non viene assicurato un minimo di futuro, come potremo noi, anche se vecchi e decrepiti, prenderci cura solo di noi stessi?
La darwinizzazione liberista del mercato del lavoro ha prodotto enormi danni sociali a fronte di una sostanziale stagnazione del PIL negli ultimi 20-30 anni. E a pagarne il prezzo non sono solo i giovani, ma anche, indirettamente, gli anziani, per i motivi di solidarietà generazionale di cui parlavo sopra.
Le organizzazioni caritatevoli, il terzo settore e gli enti locali stanno facendo del loro meglio per mitigare gli effetti di questa “tempesta perfetta”, come si intitolava un libro del 2015 scritto dai colleghi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Ricciardi, Atella, Cricelli e Serra, in cui si prediceva l’impatto che l’aumento della vita media avrebbe avuto sul sistema sanitario nazionale. Ma se non si riesce a rifondare il patto sociale, affinché assicuri a buona parte delle giovani famiglie la possibilità di farsi un mutuo prima casa, il futuro sarà molto duro sia per i giovani che per noi vecchi.
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